mercoledì 20 novembre 2024

 

LA SINISTRA COSTRETTA A GOVERNARE

Riflessioni sulle elezioni regionali in Emilia - Romagna

Sono uscito dal PD da alcuni anni, perché avevo capito che il progetto originario, per il quale mi ero speso e nel quale ho creduto fortemente, aveva fallito e che l’obiettivo prioritario era tornato ad essere quello dell’unità di tutta la sinistra, obiettivo più che legittimo, ma che non mi appassionava, non essendo io mai stato di sinistra.

Con queste elezioni regionali il PD è arrivato molto vicino a quell’obiettivo e, a parte qualche rarissima eccezione, anche tutti i suoi principali esponenti oggi, in barba agli annunci sul fatto di essere un partito aperto, inclusivo, ecc., ecc., sono convintamente e fieramente di sinistra. Con buona pace anche dei cattolici che, basta vedere qui a Ravenna, sono stati neutralizzati.

Eppure, a queste regionali, ho votato per il PD.

Del resto non c’era alternativa, visto che in mano a Renzi e Calenda il progetto del polo riformista si è sbriciolato (e da amici/nemici continuano a combatterlo strenuamente per tornaconto loro e dei loro pochi sodali) e la destra non ce la può fare. Ma capisco quei molti che a votare non ci sono andati.

Quella di Elena Ugolini era una buona candidatura, con premesse interessanti, non tanto per aspirare ad una vittoria, ma per aggiungere al dibattito politico contenuti che purtroppo sono mancati.

Il problema, però, non sono i candidati civici, come qualcuno sostiene nella destra, più che altro sorprende la scelta, forse imposta dai partiti, perché altrimenti non si spiegherebbe visto l’esperienza della candidata, di puntare ancora sulla solita cantilena del “regime degli incapaci” di cui veramente non se ne può più.

Se fosse così, tra l’altro, cosa dovremmo pensare, ad esempio, della Liguria o della Lombardia, dove sono stati confermati, nel primo caso, una coalizione il cui leader ha patteggiato per corruzione impropria e finanziamento illecito, nel secondo, un Presidente che aveva parlato del COVID come di una semplice influenza e che ha visto crollare il sistema sanitario regionale sotto i colpi della pandemia? Forse, in Emilia – Romagna i cittadini sono tutti burattini, mentre in Liguria e Lombardia invece sono tutti geni? La cosa sta diventando veramente ridicola ed è un peccato che un profilo come Elena Ugolini sia stata risucchiata in questo gorgo, dove si è dissolto anche tutto quello che di interessante avrebbe potuto dire.

Senza parlare delle alluvioni: forse in Emilia – Romagna gli amministratori di centro sinistra sono colpevoli di non avere fatto nulla e devono avere sulla coscienza i danni provocati dal cambiamento climatico, mentre in Calabria, in Sicilia, in Liguria, in Piemonte è stata sfortuna, perché lì gli amministratori di destra sono bravissimi?

Anche se oggi tocca da vicino l’Emilia - Romagna, la questione va ricondotta in tutta Italia alla totale mancanza, in politica, della cultura della prevenzione, alla confusione tra le competenze degli enti interessati e al mancato coordinamento tra loro, così come anche alla farraginosità delle leggi fatte dalla destra e dalla sinistra che non solo bloccano molti interventi, ma causano anche un ingente spreco di risorse e ritardi incomprensibili.  Un solo Governo, di recente, aveva creato una struttura ad hoc per programmare interventi preventivi con una sua dotazione finanziaria, mentre i Governi successivi, con la destra e con la sinistra, l’hanno smantellata perché quei soldi servivano per il reddito di cittadinanza, il 110%, per finanziare i condoni fiscali, gli inutili centri di accoglienza in Albania o interventi spot solo di carattere elettorale.

Qualcuno si è opposto a questa scelta? Alzi la mano chi in questi ultimi anni, ad esempio, in Emilia - Romagna, ha votato sulla base di quello che i partiti dicevano su come affrontare il tema del dissesto idrogeologico nel nostro paese. Cosa ha detto la destra, prima della campagna elettorale di quest’anno, sul tema del dissesto idrogeologico? Basta andare a leggersi la lettera di Lucia Borgonzoni ai concittadini con i punti salienti del suo programma come candidata Presidente della destra alle elezioni regionali del 2020 e la risposta viene da sé: nulla.

Ecco, pensare che in Emilia – Romagna gli elettori abbiano gli anelli al naso, penso sia stata una strategia perdente. Del resto, più è alto il numero degli astenuti, maggiore è il fallimento prima di tutto di chi si propone come alternativa al passato e così è successo.

La maggioranza degli elettori della Regione si è ormai stufata di essere trattata dalla destra come burattini mossi dai fili del regime. Per questo in parte votano la sinistra, che è più affidabile e ha cultura di governo, e in parte stanno a casa e la destra rimane residuale.

Tra questi cittadini ci sono anche imprenditori, uomini di ricerca, innovazione, cambiamento che forse vorrebbero di più, ma che per lo meno hanno trovato in questa Regione più opportunità che vincoli, che pure sono ancora molti

Basterebbe leggere questo articolo apparso di recente sul Corriere del Veneto per intuire cosa sia successo in questi anni in Emilia – Romagna, senza dubbio grazie anche al contributo della Regione. Detto anche da chi le cose le vede da fuori (dal Veneto!!) e che non risparmia critiche neppure a Milano e alla Lombardia, sulla poca qualità del loro sviluppo.

https://corrieredelveneto.corriere.it/notizie/economia/24_novembre_18/il-nordest-e-l-autunno-neno-nella-crisi-il-veneto-e-senza-risposte-bologna-e-la-nuova-capitale-dell-innovazione-7f1a6c19-050c-478e-b47c-11736e026xlk_amp.shtml 

Certo, il merito principale è stato del nostro sistema produttivo, ma chi nega che il pubblico e la Regione, in particolare, abbiano avuto ruolo, qui forse più che in altre regioni, offende la sua stessa intelligenza.

Ho lavorato quasi 30 anni a Bologna e a stretto contatto con questa Regione che conosco bene, come conosco bene risorse e criticità. Ho conosciuto la passione di molti suoi assessori e la grande competenza e professionalità soprattutto dei suoi dirigenti, con molti dei quali ho avuto l’onore di collaborare. Anche se ci sono cose da cambiare, da migliorare.

Tante cose si sarebbero potute dire sul tema della semplificazione burocratica, della transizione educativa e il sistema di istruzione e formazione professionale, sulle dinamiche del mondo del lavoro, sul welfare che va ripensato, sul monitoraggio nell’attuazione sulla valutazione dei risultati delle politiche regionali, invece di puntare tutto sul “regime” e sulle alluvioni.

Insomma, un’altra occasione persa dalla destra, un’altra occasione persa dalla democrazia che vede la sinistra costretta, non senza difficoltà, ad auto migliorarsi, a cercare in sé stessa risorse e idee per innovare, per assecondare l’ineludibile cambiamento, a pensare in che modo modificare relazioni con i territori e le parti sociali che lei stessa ha creato in questi anni, ma che non sono più idonee per stare in quel cambiamento. Non sarà facile.

In bocca al lupo Michele, in bocca al lupo al PD e alla sinistra “costretta” a governare. Ancora.

sabato 2 settembre 2023

CATTOLICO DEMOPRATICO

di Matteo Casadio

Online un nuovo libretto di riflessioni e spunti sulla politica

La politica è talmente bella che, nonostante parecchi anni di lontananza dall’impegno attivo, non sono riuscito ad allontanarmi del tutto. Questi anni di distacco, però, mi hanno aiutato a vedere le cose per lo meno da un punto di vista diverso che non considero per forza migliore o più veritiero. Ho deciso così di mettere ordine tra i tanti appunti, riflessioni, scritti che mi hanno accompagnato dalla sofferta decisione di uscire dal Partito Democratico, circa 5 anni or sono, ad oggi. L’obiettivo è quello di condividere queste riflessioni con il solo auspicio di dare un contributo al dibattito, a partire da quello che si sta sviluppando, in maniera molto confusa, tra i cattolici impegnati in politica, stretti e progressivamente “espulsi”, di fatto, da due schieramenti che stanno convintamente radicandosi sulle estreme. Anche se, in una società il cui benessere è comunque diffuso e nella quale il divario tra chi sta bene e chi sta male è sempre più ampio, paradossalmente, questa estremizzazione dei contenuti della politica, a destra come sinistra, nasconde, in entrambi i casi, la volontà di conservare. Gli estremismi vengono usati per aggregare consenso, per legittimare il proprio potere e delegittimare l’avversario, non hanno visione, né idee utili e la cartina tornasole di tutto ciò è la qualità della classe politica, satura ormai solo di propagandisti. I cattolici, insieme ad altre culture e tradizioni di impegno sociale e politico, sono quindi chiamati a pensare ad un nuovo progetto non in nome del “centro”, della moderazione, ma, per una volta, in nome di una “rivoluzione” che è quella delle riforme per un paese vecchio, bloccato che sta sequestrando il futuro e da dove i giovani, giustamente, se ne vanno. Istituzioni, imprese, scuola, lavoro, Europa, Mondo: le riforme sono il cambio di prospettiva che oggi in politica non è rappresentato da nessuno. Questo libretto offre molti stimoli, un po’ di cose e di parole nuove che, ovviamente, troveranno anche critici e oppositori. Ci sono anche passaggi che ho scelto volutamente di forzare, ma per dare l’idea della assoluta necessità di un cambio di prospettiva della politica. Per provare, insomma, a mischiare un po’ le carte…

A questo link potete scaricare il pdf del libretto e mettervelo su qualcuno dei vostri dispositivi.

https://drive.google.com/file/d/10xU2X4RYblPX7hrjNEZc35reghm_wng9/view?usp=sharing 

venerdì 9 settembre 2022

SI' AL TERZO POLO, MA CON VISTA SUL NUOVO PARTITO DEI RIFORMISTI ITALIANI

 SI' AL TERZO POLO, MA CON VISTA SUL NUOVO PARTITO DEI RIFORMISTI ITALIANI

Dopo 6 anni di “riposo” dalla politica attiva e 4 dalla sofferta uscita dal PD ho ritrovato qualche valida ragione per rimettere in gioco alcune idee che spero siano utili in questo delicato passaggio delle elezioni del 25 settembre.

Mi ha convinto il fatto, di cui poco si è parlato, che Carlo Calenda e Matteo Renzi, durante l’iniziativa di lancio della campagna elettorale a Milano, abbiano prefigurato, per il post elezioni, il superamento degli attuali partiti che si dicono riformisti, da Azione a Italia Viva, per promuovere finalmente la costruzione di una grande alleanza di cittadini che non hanno paura delle riforme e una nuova forza politica che li rappresenti. Per questo mi batterò in prima persona.

Un progetto che riguarda l’Italia, ma anche ognuna delle nostre città, perché c’è da riformare anche il welfare locale, ci sono da trovare nuovi strumenti per promuovere sviluppo e lavoro, per far collaborare scuole e imprese e la politica deve farsi promotrice di questi nuovi processi e cambiare il modo di relazionarsi con il territorio.

L’obiettivo, non bisogna vergognarsi di dirlo, al netto degli errori fatti, è ritornare allo spirito del referendum del 4 dicembre 2016, la più grande prova di partecipazione e democrazia degli ultimi decenni, nella quale 13 milioni di cittadini avevano accettato, pur perdendo il referendum, la sfida riformista e per la prima volta nella storia repubblicana avevano votato SÌ per un concreto progetto di straordinario e profondo cambiamento (non promesse), una sfida ovviamente avversata da tutti i leader conservatori di destra e di sinistra di allora, dalla Meloni, a Salvini e Berlusconi, passando da Beppe Grillo e fino a Bersani, D’Alema e agli altri (tanti) leader della sinistra.

Quelli del referendum sono quelli che vogliono ancora come allora riformare il bicameralismo perfetto, la suddivisione delle competenze tra Stato ed Enti Locali, l’elezione diretta del Premier, non del Presidente della Repubblica e una legge elettorale più possibile maggioritaria, in modo tale che chi vince le elezioni possa governare 5 anni e i cittadini, al termine della legislatura, giudichino se il Governo ha lavorato bene o male. Quelli del referendum sono quelli che vogliono ancora come allora riformare le Regioni, rendere più dinamico il mercato del lavoro, rilanciare davvero l’autonomia scolastica, cambiare radicalmente la PA a colpi di digitalizzazione e semplificazione senza il timore di svuotare le sacche di potere e i privilegi che si sono formati lì dentro. Tutte riforme che erano state già avviate, non erano perfette, ma che sono state in questi anni purtroppo snaturate in nome di tutte le ideologie. E poi incentivi selettivi e a favore delle PMI innovative, promozione degli investimenti pubblici, premiare la fedeltà fiscale, un fisco non solo più leggero e semplice, ma soprattutto più stabile e certo. Altro che condoni e patrimoniali.

Mi pare che si possa dire che i riformisti sono anche gli unici che, senza ipocrisia, hanno proposte chiare e concrete per raggiungere il più in fretta possibile l’autonomia nell’approvvigionamento energetico e gli unici che possono sostenere l’opzione a favore dell’unione politica dell’Europa, senza incertezze, senza dubbi.

Ora però occorre lavorare affinchè il Terzo Polo non diventi il Centro “scaltro” di una vecchia geografia della politica, ma diventi il nuovo partito dei riformisti italiani, libero dai personalismi e con una sua chiara visione del paese.

Quella geografia è, di fatto, cambiata perché siamo, in realtà, in un sostanziale bipolarismo: esistono i riformisti ed esiste il polo dei conservatori di destra e di sinistra ognuno con i loro temi, che sono sempre gli stessi, le loro ricette, che sono sempre le stesse e che hanno sempre finito per lasciare tutto com’è.

A destra i conservatori sono quelli che guardano solo al problema e pensano di risolverlo da un giorno all’altro (la chiusura dei porti che elimina l’immigrazione clandestina) o dicendo che non esiste (la crisi del 2008 con “i ristoranti pieni” di Berlusconi oppure la pandemia “che è solo un’influenza”) oppure che è colpa di altri (l’Europa, gli immigrati, i mercati finanziari) o facendo proposte irrealizzabili (la flat tax al 15%). A sinistra i conservatori sono quelli della retorica inconcludente dei valori che i problemi li ama rappresentare tutti, ma senza risolverne uno, perché c’è sempre qualcuno che dice NO. Per tutti, “spremuto” il problema ai fini del consenso, tutto può rimanere com’è.

I riformisti sono quelli che, invece, guardano anche alle cause del problema e spesso propongono, di cambiare solo il modo nel quale quel problema è stato affrontato fino a quel momento, il sistema e le leggi, spesso ridondanti e farraginosi, che hanno governato quel problema, con l’obiettivo di creare le condizioni per far funzionare le cose, magari spendendo meglio le risorse che già ci sono. Certo, questo può significare dire dei sì e dei no e scontentare qualcuno di quelli ai quali la politica ha garantito privilegi e benefici ingiustificati.

Dopo il Governo Renzi e il referendum, abbiamo avuto Governi di tutti i colori che, al netto della pandemia, hanno speso tantissimo, ma hanno lasciato il paese immobile: sugli eccessi della burocrazia, sulla scarsa produttività, sulla rigidità del mondo del lavoro, sul mismatch tra domanda e offerta di lavoro, sull’evasione fiscale, sulla povertà e sui flussi immigratori, sulla lentezza e la farraginosità delle leggi, sulla disomogeneità dei Governi e l’inefficacia della loro azione, quindi sull’instabilità politica, sul tergiversare in Europa, sull’energia. E appena Mario Draghi ha rilanciato la prospettiva delle riforme, sia a destra che a sinistra si sono ribellati, proprio perché i sì e i no danno fastidio.

Del resto, tutta la classe politica del nostro paese è nata nel Novecento, nella Prima Repubblica, con l’imprinting proporzionale: prima vengono i partiti, poi le coalizioni che servono solo per prendere più voti possibili alle elezioni per poi alimentare e magari ingrandire gli orticelli di ciascun partito. È per questo che le attuali coalizioni non hanno identità, sono divise anche sui temi strategici (pensiamo a Europa ed energia) e fanno fatica a governare, perché ogni partito deve custodire prima il suo orticello.

E poi la politica di destra e di sinistra parla solo dei problemi degli adulti, perché gli adulti sono gli unici che votano e che hanno interessi consolidati da difendere. Destra e sinistra se li contendono con gli stereotipi e i luoghi comuni di sempre. Non per niente in questi anni si sono avuti degli spostamenti significativi, da sinistra a destra e viceversa, di quell’elettorato che è perennemente in cerca di conferma e tutela dei propri “diritti” acquisiti, anche di garanzie e di privilegi ingiustificati, come già dicevo, e che si offre al miglior offerente. Così, soprattutto nelle congiunture più ostiche (crisi finanziarie, pandemia, guerra) aumentano quelli che sono sotto la soglia della povertà, anche perché, a forza di promesse inutili, non viene fatto nulla per governare con le riforme il divario tra chi sta bene e chi no e dare a questi ultimi, comunque, più opportunità per affrancarsi anche in momenti difficili: non il reddito di cittadinanza, bensì formazione di qualità, meno burocrazia, giustizia più veloce, imprese più dinamiche, più lavoro. Il progressivo aumento di questo divario è segno palese di una politica che sa solo conservare e che opera, spesso senza rendersene conto, solo per quelli che già “arrivano a fine mese”. L’inerzia della conservazione.

Analizzando i flussi elettorali si vede che chi non ha mai cambiato idea sono solo i giovani, nel senso che hanno continuato a non andare a votare. Se i giovani non si interessano della politica non è perché non hanno passione, ma è perché la politica in realtà non si interessa di loro, li vuole tenere fuori parlando solo di problemi che non sono i loro. Li costringiamo a dipendere da noi adulti, dai nostri problemi e dalle nostre paure. È drammatico.

Le riforme, invece, sono per i giovani, anche se non votano, anzi, proprio perché non votano. Istituzioni efficienti, mercato del lavoro più dinamico, PA semplice, scuola innovativa, sono tutte condizioni indispensabili affinché i giovani siano sollecitati a mettere a frutto i loro molteplici talenti. Perché i giovani sono, per fortuna, molto meglio di noi adulti e dobbiamo dargli fiducia, condividere e valorizzare la visione che loro hanno del mondo, non provare ad inculcargli la nostra.  Sono gli unici che possono fare un mondo migliore di quello che c’è.

Un mondo che per i giovani non ha confini, un mondo nel quale i giovani, che sono più curiosi, coraggiosi e dinamici degli adulti, cercano opportunità e non hanno privilegi da difendere come noi adulti e dove la guerra, tutte le guerre sono un danno prima di tutto per loro, va contro la loro voglia di scoprire, conoscere, condividere, cooperare, collaborare, mentre gli adulti si dividono loro hanno trovato linguaggi comuni, anche grazie all’arte, alla cultura, all’ambiente, alla tecnologia, allo sport, e non capiscono come si possa arrivare a rendere così brutale la convivenza tra gli uomini in una civiltà dove, oggi più che mai, ci sono tante opportunità per tutti. Per i giovani, poi, l’Europa unita è già una realtà, è già la loro casa, sono insomma gli unici che non hanno il problema di stare dentro o fuori, perché hanno già deciso di stare dentro.

Il percorso per il partito delle riforme sarà lungo perché occorre convincere con i fatti la nuova classe dirigente del nostro paese che ancora non si sente rappresentata da nessuno (non scordiamoci la grave crisi di tutto il mondo della rappresentanza), il ceto medio responsabile che decide di staccarsi dal computer, uscire allo scoperto e fare la sua parte (non il ceto “media” o il ceto “dal dito medio” che spopola sui social), ricostruire la fiducia nella politica dei giovani e di quei tanti cattolici che finalmente si stanno stancando di tutti i mercanti che “nel tempio”, a destra e sinistra, ognuno a suo modo e in nome di qualche misterioso principio etico, sono convinti che ci siano vite che valgono più di altre. E bisognerà che tanti cittadini si rendano anche conto che occorre un più di loro responsabilità e che alla politica non si può chiedere tutto, perché il rischio è che si illuda di essere tutto, mentre la politica seria è quella consapevole del suo limite.

Percorso, quindi, lungo e difficile quello del nuovo partito dei riformisti. Non sappiamo se sia quello giusto, ma giusto è l’obiettivo che nessuno ha il coraggio di perseguire: uscire dal tempo delle ideologie che sono la maschera più subdola della conservazione e che stanno spegnendo la creatività del nostro Bel Paese.

Questo deve essere il senso del voto al Terzo Polo.

mercoledì 25 maggio 2016

IN PUNTA DI PIEDI


Non sta a me giudicare se lo sforzo che ho sempre profuso per tutelare la dignità della Politica sia stato uno sforzo positivo, costruttivo, coerente.
Quel che è certo che non mi sono mai risparmiato a mettere in circolo idee, progetti, proposte con il solo obiettivo di ravvivare la discussione ed in confronto.
Anche sulla mia città, la bellissima Ravenna
Qualche anno fa fa ho pubblicato un libretto dove ci sono riflessioni frutto dell'esperienza come amministratore locale, ma anche della consapevolezza del fatto che la crisi che ci ha colpito ci obbliga a rivoluzionare il nostro modo di pensare e di agire, pena l'isolamento e l'arretratezza.
Penso che siano riflessioni che possano valere per tante città come la mia che stanno tentando di ridisegnare la propria identità ed una propria visione di futuro.
Questa rivoluzione deve essere prima di tutto per le nostre giovani generazioni alle quali dobbiano dare tutti gli strumenti per farsi interpreti e protagonisti del loro tempo e per questo avevo individuto il 2019, l'anno per il quale la città si era candidata a Capitale Europea della Cultura (obiettivo, purtroppo, solo sfiorato), come il traguardo anche di un grande progetto per la promozione e la valorizzazione dei talenti dei nostri ragazzi, un progetto che ci faccia diventare comunque una "Capitale del Talento".
Giusto per cominciare a gettare qualche seme.....


Link al testo completo
https://drive.google.com/file/d/1kYYY3xCSK-gN2bNhOXSzlTvyepGts3W6/view?usp=sharing